Estate in città

I rumori della città che le notti d’estate entrano dalle finestre aperte delle stanze di chi non può dormire per il caldo, i rumori veri della città notturna, si fanno udire quando ad una certa ora l’anonimo frastuono dei motori dirada e tace, e dal silenzio vengono fuori discreti, nitidi, graduati secondo la distanza, un passo di nottambulo, il fruscio della bici di una guardia notturna, uno smorzato lontano schiamazzo e un russare ai piani di sopra, il gemito di un malato, un vecchio pendolo che continua ogni ora a battere le ore.

Finchè comincia all’alba l’orchestra delle sveglie nelle case operaie e sulle rotaie passa un tram.

Così una notte Marcovaldo, tra la moglie e i bambini che sudavano nel sonno, stava ad occhi chiusi ad ascolatare quanto di questo pulviscolo di esili suoni filtrava giù dal selciato del marciapiede per le basse finestrelle, fino in fondo al suo seminterrato.

Ma nella notte calda quei rumori perdevano ogni spicco, si facevano come attutiti dall’afa che imgombrava il vuoto delle vie, eppure sembrava volersi imporre, sancire il proprio predominio su quel regno disabitato.

La popolazione per undici mesi all’anno amava la città che guai a toccargliela; ad un certo punto dell’anno cominciava il mese di agosto.

Ed ecco si assisteva a un cambiamento di sentimenti generale… Alla città non voleva più bene nessuno: gli stessi greattacieli e sottopassaggi pedonali e autoparcheggi fino a ieri tanto amati erano diventati antipatici e irritanti.

La popolazione non desiderava altro che andarsene al più presto: e così a furia di riempire treni e ingorgare autostrade, al 15 del mese se ne erano andati proprio tutti.

Tranne uno: Marcovaldo era l’unico abitante a non lasciare la città. (…)

Italo Calvino

Una risposta a “Estate in città”

  1. Calvino… uno dei migliori…

    anche questo breve brano ha il suo fascino.

    Ciao, Fausto.

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